Puntare sul Cannonau e su un vitigno autoctono a bacca bianca, la Granazza, significa dare uno stimolo e un’opportunità imprenditoriale anche alle nuove generazioni di vignaioli.
a cura di Stefania Raspa (sommelier)
In una delle ultime fiere vinicole del 2023 la mia attenzione è stata colpita da un logo che si ripeteva qua e là in alcuni stand di viticoltori. Leggevo il nome del produttore e di fianco un simbolo, una stilizzazione di un campanaccio, un nuraghe come batacchio e diversi cerchi concentrici in una spirale che indirizzava l’attenzione ad una figura grottesca e inquietante. Leggo: “Mamojà. Vini di Mamoiada”.
Qualche cassetto della memoria si apre e le associazioni con il “ne avevo sentito parlare” riemergono, ma voglio saperne di più. Mi fermo allo stand di un produttore che espone questo logo e la signora Marcella comincia a raccontarmi di una realtà isolana, di una storia di riscatto e valorizzazione del territorio, degustando un calice di “Istimau”, un Cannonau in purezza ottenuto da un’accurata selezione delle uve dei vigneti più giovani dell’azienda. “Stimato e amato”, una dedica a colui che ha trasmesso la passione per il vigneto e per il vino.
Questa passione e amore per il territorio ha spinto i viticoltori e produttori di vino di Mamoiada, un paese di 2500 abitanti nel centro della Sardegna in Barbagia, a dare vita all’associazione culturale Mamojà, per valorizzare e tutelare non solo la viticoltura e i vini, ma preservare e promuovere quegli aspetti culturali e della tradizione legati ad un patrimonio enogastronomico più ampio.
I mamoiadini e il Cannonau
Per i mamoiadini il vino ha sempre rivestito un ruolo centrale nella cultura e nella tradizione del paese, è un elemento di unione sociale e di condivisione, un mezzo per affrancarsi da un passato difficile, fatto di sequestri e bande criminali. Negli anni 2000 questi fenomeni vengono arginati e la comunità di Mamoiada ha voglia di rinascere e lo fa partendo dal vino: nel 2015 un gruppo di vignaioli decide che è il momento di reagire, di difendere e promuovere quel territorio al di fuori dei confini regionali.
Puntare sul Cannonau – decidere di imbottigliarlo e commercializzarlo – e su un vitigno autoctono a bacca bianca, la Granazza, scommettere sulla risorsa vino e dare uno stimolo e un’opportunità imprenditoriale anche alle nuove generazioni di vignaioli, radicati nella terra che amano, ma con la prospettiva di andare su nuovi mercati.
Elementi simbolici e antropologici
La simbologia del logo di Mamojà – che figura sulle etichette come marchio del territorio – si fa più chiara: i cerchi concentrici rimandano a “sa Perda Pintà”, ossia la pietra decorata. E’ una grande pietra sacra, un megalite di granito lavorato e inciso con cerchi concentrici, ha quattromila anni ed è unico in Sardegna. La figura grottesca, quasi tenebrosa, è quella di un Mamuthones, una maschera protagonista del Carnevale mamoiadino che, insieme agli Issohadores, scandiscono la danza sacra propiziatoria, curvi sotto il peso dei campanacci, quegli stessi campanacci appesi al collo dei buoi che ancora oggi sono utilizzati nell’aratura delle vecchie vigne. Ed ecco che il vino è l’altro protagonista del Carnevale di Mamoiada: i dolci tipici e il vino Cannonau fanno parte integrante della festa e vengono offerti ai mamoiadini e ai visitatori, non solo maschere ma convivialità e unione.
Il Terroir come aggregatore sociale
La stessa unione e condivisione che lega i viticoltori di Mamoiada al loro terroir: al di là delle condizioni pedoclimatiche, è il valore e l’apporto umano, particolarmente forte e radicato in questa parte di Sardegna, che ha spinto i vignaioli a dare importanza al fare vino quanto a lavorare in vigna, un binomio che li vede “consorziati” nell’associazione Mamojà e lavorare per uno scopo comune, al di sopra di interessi personali e individuali.
Questo spirito di “bene comune” ha generato un fenomeno in controtendenza e un trend in crescita: nel corso degli anni le cantine che imbottigliavano vino erano 3, oggi sono 33, gli ettari vitati sono passati da 65 a 350, si è registrato un aumento del fatturato, dei posti di lavoro e della componente femminile e soprattutto sono sempre più numerosi i giovani che restano a Mamoiada e investono le loro risorse nel territorio.
Questo viaggio ideale a Mamoiada mi riporta alla memoria la canzone dei Tazenda, dall’omonimo titolo, in cui negli anni novanta il gruppo etno-folk sardo denunciava una situazione di faide, delitti, sequestri che “svegliano ad ogni alba Mamoiada nel sangue e nei lutti, chiedendosi quale gloria c’è nella vendetta. In queste nuvole del giorno maledetto Mamoiada è madre, figlia, leggiadra” (traduzione della canzone). Percorrendo le strade e i sentieri delle vigne di Mamoiada incontriamo persone che negli anni hanno custodito gelosamente tradizioni e antichi valori, un sapere antico che caratterizza i vini del territorio che hanno disegnato il futuro. Questa è Mamojà.